Un’analisi preliminare delle forme di sofferenza delle vittime di tratta di origini nigeriana
di Paolo Marinari, responsabile Unità Funzionale Salute Mentale Adulti ASL Nord-Ovest Zona Pisana

 

DIMENSIONE DEL FENOMENO
Il fenomeno delle vittime di tratta interessa presumibilmente dai venti ai ventisette milioni di persone nel mondo. E ’ sicuramente in aumento esponenziale, anche se i dati al riguardo sono contrastanti ed ampiamente sottostimati. In Europa le vittime accertate tra il 2010 e il 2012 sono state 30.146, di cui il 65% provenienti dai paesi della Unione Europea In Italia i dati diffusi dal Dipartimento delle Pari Opportunità attestano 26.837 vittime emerse dal 2000 al 2014. Quello che sappiamo è che queste persone alimentano un mercato che va dai 9 ai 10 milioni di prestazioni sessuali al mese con una corrispondente stima del traffico italiano, che oscilla tra 50 e 70.000 donne.

 

BREVE ANALISI 
Il fenomeno specifico che riguarda le donne di origini nigeriana è iniziato circa 30 anni fa sulla traiettoria Benin City-Torino e Castel Volturno per poi diffondersi praticamente in tutta Italia (Genova, Torino, Milano, Firenze, Pistoia, Pisa, ecc.).
Nel 2014 la stima era di 1.400 vittime di tratta, nel 2015 è salita a 5.600 e progressivamente nel 2016 a circa 11.000. Il 40% delle donne sono minorenni, con arrivi di ragazze sempre più giovani (sono registrati casi di 12/13enni). L’altro riscontro inquietante rilevato è che il numero delle donne di origine nigeriana sbarcate e quelle vittime di tratta risulta praticamente sovrapponibile ad alimentare un commercio in costante progressiva espansione.

 

ALTRI DATI SIGNIFICATIVI
Per quanto riguarda le interruzioni volontarie di gravidanza (IVG), il 65% delle donne che dichiarano di esercitare la professione hanno eseguito una IVG, il 25% almeno due e il 12% più di due. Inoltre il 75% delle prostitute presenti sulla strada sono vittime di tratta. Di contro le denunce registrate risultano pochissime, solo 78 su 7.000 vittime identificate, a dimostrazione dell’immenso coraggio misto a disperazione, che devono aver trovato queste ragazze nell’uscire allo scoperto, opponendosi alla sottomissione delle madame e dei protettori, ma anche contro la volontà della propria famiglia, mentre si trovano da sole in un paese straniero.
La ‘mancanza di parola’ è la risultante di un insieme di condizioni emotive, che determinano la non coscienza di stato di vittima. Le più importanti sono la vergogna fino allo sbigottimento e talora alla paralisi psichica, la costante profonda paura, l’adattamento alla brutalità e soprattutto la mancanza di fiducia nell’altro.

Principali elementi predisponenti a divenire vittima di tratta:
- Giovane età - Scarsissima cultura/non alfabetizzazione
- Religiosità accentuata
- Indigenza
- Elevati bisogni economici della famiglia e/o del nucleo di appartenenza
- Netta rilevanza del plagio religioso e delle lusinghe economiche

Elementi fondamentali di ordine psicologico dei soggetti vittime di tratta:
- Inganno
- Maltrattamento ripetuto (Violenza)
- Spiritualità
- Perdita o mancanza del senso di appartenenza sociale

 

LA DINAMICA DELL'INGANNO
I primo punto fondamentale con cui tutto il sistema di accoglienza deve assolutamente e prioritariamente confrontarsi è la dinamica dell’inganno. Ciò che sostanzia e radicalizza l’inganno è la sua ritualizzazione (attraverso la pratica juju, che è il tramite per il condizionamento psicologico in tutte le sue componenti: emotivo-affettive, cognitive e concrete/economiche), la quale comporta un rapporto di dipendenza molto forte e costantemente reiterato tra madame/sfruttatore e vittima.
In realtà l’atto della possessione rappresenta per la giovane nigeriana che lo sperimenta un evento non solo sconvolgente, ma soprattutto una esperienza religiosa per certi versi arricchente, differenziante, quasi privilegiata, che riveste anche un ancestrale significato di affermazione identitaria e di presa di distanza dalla supremazia coloniale.
La condizione di vittima pertanto non deriva tanto dal culto e dalla pratica rituale in sé, ma piuttosto dall’instaurarsi di una relazione perversa con lo sfruttatore, in cui vengono strumentalizzati e manipolati questi forti riferimenti simbolici al fine di una sottomissione e di un ricatto continuativo.
Gli interventi da predisporre devono avere come principale obiettivo quello di cercare di liberare la vittima da tale stretto rapporto di dipendenza, mantenendo tuttavia costante il rispetto della persona all’interno di quello specifico sistema di valori culturali, religiosi e mentali, da cui proviene.
La dinamica dell’inganno incide notevolmente nel momento dell’incontro, rappresentando una specie di barriera più o meno consapevole presente da entrambi le parti, anche quando sembra esserci una esplicita richiesta di aiuto.

Può tendere a mantenersi a lungo, a volte anche indefinitamente.
Occorre pertanto riflettere nell’operatività quotidiana sulle seguenti determinanti, che vengono a condizionare in maniera più o meno evidente le reciproche modalità relazionali.

Le vittime:
- sono state ingannate e sentono quotidianamente l’inganno sulla propria pelle
- temono di essere ancora ingannate (con la nascita e l’approfondirsi di sentimenti di sfiducia e di rabbia)
- possono tendere loro stesse ad ingannare
- tendono ad indurre l’inganno

 

IL MALTRATTAMENTO
Il maltrattamento associato a violenza psicologica grave e ripetuta comporta in genere nelle donne di origine nigeriana vittime di tratta lo sviluppo di un senso di imprevedibilità, di incertezza e di paura commista a vissuto di vergogna.
In molti casi si riscontra una significativa progressiva perdita di autostima con massima difficoltà a ridare un senso evolutivo alla propria esistenza con conseguente incapacità di infuturazione. La caratteristica dominante del trauma esperito dalle vittime di tratta è la ripetitività del trauma stesso, in primis collegato alla mercificazione del corpo.
Nell’abuso prolungato e ripetuto la vittima viene a perdere la capacità di elaborazione prospettica rispetto al trauma, ricorrendo il più delle volte alla negazione ed alla paralisi psicologica. D’altra parte la mente di queste vittime è quasi costantemente in allarme, sempre pronta a cogliere i segnali (anche non verbali) di una possibile aggressione imminente per potersi difendere o calmare l’aggressore.

La vittima appare spesso in una condizione di ‘ipervigilanza congelata’, che è uno stato di ipereccitazione con iperadattamento caratterizzato da una sorta di paralisi psichica. L’operatore tende pertanto a percepire un forte vissuto di angoscia e di sgomento e al contempo un senso di distanza e di impotenza legato al blocco emozionale e cognitivo della vittima dovuto all’iperadattamento divenuto progressivamente automatico rispetto al maltrattamento ripetuto.

Si possono ravvisare varie analogie con la situazione psicotica, di cui le più significative sono le seguenti:
- solitamente il tempo prima che emerga una richiesta di aiuto non risulta immediato
- tuttavia in genere la richiesta emerge con una crisi (in questo caso la richiesta di aiuto è immediata)
- c’è necessità di un’accoglienza con sviluppo di un’alleanza che è alla base della presa in carico
- c’è necessità di una conoscenza approfondita della singola persona attraverso la ricostruzione puntuale della storia individuale
- l’intervento deve essere assolutamente personalizzato, quanto più possibile condiviso, sottoposto a verifica anche e soprattutto in équipe.

 

LA SPIRITUALITÀ
Il 9 marzo scorso l’Oba di Benin City ha dato una speranza alle migliaia di vittime di tratta. Ha reso possibile la promulgazione di un editto, che libera queste donne destinate alla prostituzione dal rito juju.
Il tema della spiritualità è assolutamente dominante nella cultura africana.
Non avendo una religione nel senso delle religioni rivelate, si fa riferimento appunto ad una spiritualità estesa, su cui si basano le tradizioni, i costumi, i rituali e le pratiche.
Il grande rispetto che queste popolazioni hanno per le tradizioni e per la loro forte influenza culturale si sostanzia in particolare nel cosiddetto rito juju: una forma religiosa antica, predominante nelle zone sud-occidentali della Nigeria, che vede nella presenza degli spiriti il veicolo di comunicazione preferenziale tra gli uomini e gli dei.
La forte fede negli spiriti ed il desiderio di uscire dalla povertà per migliorare la propria condizione sociale sono gli ingredienti fondamentali per il proliferare della tratta e della riduzione in schiavitù. I trafficanti e le madame sono in grado di capire e di utilizzare la vulnerabilità di queste persone, costringendole attraverso la pratica del rito juju ad una sottomissione psicologica e religiosa fino a soggiogarle e ad imporre loro la pratica della prostituzione.

Gli ‘sfruttatori’ si offrono di pagare il viaggio alle ragazze fino in Europa, dicendo loro che potranno successivamente estinguere il debito, lavorando come parrucchiere, sarte, colf o babysitter. In tempi più recenti le donne sanno preventivamente, una volta partite, che eserciteranno la prostituzione, che in Nigeria non è stigmatizzata, ma non immaginano assolutamente la costrizione perversa che dovranno subire in maniera coatta e continuativa.
L’uso del rito juju serve sostanzialmente ai mandanti per assicurarsi di ricevere i soldi dalle vittime. Visto che gli spiriti sono così potenti, ci penseranno loro a far rispettare il contratto. Proprio per questo i trafficanti si accordano con un sacerdote locale per siglare il patto con le ragazze tramite una cerimonia ritualizzata.
Dalle numerose testimonianze raccolte dalle vittime di tratta, risulta che, una volta condotte dallo sciamano, vengono fatte denudare per rinforzare l’idea della loro inferiorità e vulnerabilità. Dopo di ché lo stesso prende una lama, fa alcuni tagli sulla pelle delle vittime e vi mette della cenere, favorendo così l’entrata dello spirito nel corpo della donna. Successivamente vengono loro tagliati i capelli, i peli pubici e le unghie, che sono posti in un contenitore insieme agli indumenti intimi. A questo punto vengono fatte giurare davanti ad una divinità con la promessa che ripagheranno il denaro dato dalle protettrici. Nel caso non rispettassero tale contratto, lo sciamano manderà lo spirito a punirle e ad ucciderle.

Per dare maggiore enfasi al giuramento viene ucciso un gallo, da cui viene estratto il cuore, che le ragazze sono costrette a mangiare in genere insieme ad una bevanda alcolica per provocare una condizione di euforia fino allo stato di trance.
La trance è uno stato alterato di coscienza che si ottiene per sommazione di stimoli quali la musica, la danza e la presenza di un certo numero di persone scelte, che partecipano alla iniziazione.
Tutte le fasi della cerimonia sono molto ritualizzate, così da incidere mentalmente allo scopo di rendere massimo il coinvolgimento psicologico delle vittime.
Le donne della tratta sono al contempo esaltate e terrorizzate dal rito, che viene a rappresentare, dal momento in cui è realizzato, il punto di riferimento intorno a cui ruoteranno e si articoleranno tutte le loro successive vicende esistenziali.

Il contratto stipulato con gli spiriti tramite la cerimonia appena descritta non potrà esaurirsi, finché il debito non verrà ripagato e spesso questo durerà indefinitamente.
La religiosità viene quindi ad essere parte integrante e molto forte della loro esistenza; per cui al di là di una nostra comprensione il riuscire ad operare un avvicinamento ad essa, facendola emergere ed eventualmente provando a non criticarla o soprattutto a non demonizzarla, può rappresentare una modalità valida di approccio per tentare di iniziare a costruire un’alleanza. Questa a sua volta può portare a far riemergere il coraggio e la fiducia nell’altro e a dare il via alla possibilità di intraprendere un percorso di cambiamento evolutivo da parte della vittima. Ciò può sostanziarsi a partire dalla progressiva elaborazione della ferita derivante dal fallimento delle aspettative iniziali del viaggio con l’uscita dalla dipendenza psicologica del rito nei riguardi degli sfruttatori e delle madame in un percorso di ristrutturazione emotivo-cognitiva con possibile reinvestimento positivo del Sé sociale.

 

PERDITA O MANCANZA DI SENSO DI APPARTENENZA
Nonostante le differenze tra le tipologie abitative e l’enorme diversità di densità tra le regioni del Nord, più scarsamente popolate, e quelle del Sud, in tutto il paese la vita dei villaggi è caratterizzata da un forte senso di appartenenza alla comunità.
Ogni evento privato o sociale viene sentito da tutti gli abitanti del villaggio, che vi partecipano seguendo una tradizione di solidarietà e di ospitalità reciproca.
Durante le cerimonie religiose e profane che scandiscono l’anno l’intero villaggio contribuisce ai festeggiamenti secondo uno specifico ruolo affidato a ogni gruppo sociale distinto per età. In tutto il paese dal punto di vista giuridico continuano ad avere una forte rilevanza le istituzioni locali; mentre al Nord viene applicata la legge islamica nel diritto di famiglia e delle donne, nelle regioni meridionali continuano ad avere ampio potere i capi dei villaggi e delle tribù, a cui è spesso affidato il giudizio riguardo a contese locali.
Vi è in Nigeria una notevole parcellizzazione del territorio in un crescente numero di stati con istituzioni e regole diverse, tuttavia presso tutti i gruppi etnici la famiglia rappresenta il nucleo fondamentale della società, che a sua volta è strettamente collegata al gruppo sociale di appartenenza.
La figura della donna all’interno della famiglia e della società riveste un ruolo più importante di quanto non lo sia in altre civiltà africane. Pur registrando negli ultimi anni un aumento significativo del grado di istruzione femminile, l’ingresso nel mondo del lavoro risulta ancora molto scarso, soprattutto nelle zone rurali, dove massimo e cospicuo è il reclutamento delle vittime di tratta.
Si rileva in tutte le ragazze sfruttate un forte attaccamento al patrimonio culturale, religioso e sociale con lo sviluppo ed il mantenimento di legami indissolubili con la famiglia di origine, con quella allargata e con il gruppo sociale di appartenenza, costantemente ricercato e desiderato una volta giunte all’estero.
La donna nigeriana, che esercita la prostituzione, vive in maniera fortemente frustrante la difficoltà a mantenere il senso di appartenenza sociale al paese di origine. Inoltre viene a trovarsi in un contesto, in cui la sua attività fin dall’arrivo è definita socialmente ed istituzionalmente in modo sfavorevole: con il passaggio da una posizione sociale da non deviante a deviante, da libera a coatta e da non pericolosa a pericolosa.

Ne consegue pertanto un distacco della propria persona dal ruolo legato a questa attività, descritta in maniera uniforme come un lavoro duro, brutto, ripetitivo, violento ed alienante. La socializzazione allo status di prostituta comporta tuttavia nella maggior parte delle situazioni una sorta di adattamento esteriore, che permette di superare in qualche misura le resistenze iniziali, riferite nei racconti come una condizione orribile, difficile, faticosa e soprattutto intrisa di grande vergogna.
Solo alcune ragazze esprimono l’intenzione di sfruttare la prostituzione altrui e riescono a divenire a loro volta una madame.
La massima parte desidera che il periodo di prostituzione forzata finisca con la volontà di ricongiungersi con i familiari, i quali si rivelano spesso contrari e d’accordo con gli sfruttatori.
La globalizzazione, che alimenta la migrazione dai Paesi dell’Africa verso l’Occidente, ha introdotto nelle persone, che si spostano migrando, valori e ruoli sociali altri rispetto a quelli della cultura locale, provocando così uno scollamento dalla realtà in cui vivono. Si realizza spesso una posizione di bilico tra due culture con universi di significato diverso, a cui diventa talora arduo rapportarsi.
Per le vittime di tratta questo risulta particolarmente vero tanto da manifestare disagi psicologici fino a veri e propri disturbi, che occorre leggere e interpretare nella complessità della scissione tra cultura di arrivo e cultura di partenza.

 

DISAGI PSICOLOGICI E DISTURBI PSICHIATRICI PIÙ FREQUENTI NELLE VITTIME DI TRATTA
I corpi e le menti delle vittime sono state violate all’inizio del viaggio ed ingannate per poi essere successivamente violentate e sradicate in ogni misura. Ciò spiega la loro aggressività altissima con frequenti disturbi del controllo degli impulsi.
In queste persone è come se esistessero delle ‘reliquie di un corpo sociale perduto’, che restano sopite, bloccate e paralizzate, che possono esplodere e scoppiare con violenza inarrestabile in maniera apparentemente imprevedibile se solo appena sfiorate e incomprensibilmente riattivate. Appaiono pertanto possibili manifestazioni di agitazione psicomotoria accompagnate da agiti auto ed eteroaggressivi.
La nozione di trauma è in molti casi sminuente rispetto alle violenze reiterate subite con sviluppo di intensi disturbi postraumatici da stress con le caratteristiche della ‘ipervigilanza congelata’ prima descritta.
Molto frequenti i fenomeni di depersonalizzazione e di derealizzazione a ponte tra evidenti manifestazioni ansiose paniche con veri e propri sintomi dissociativi. Sono segnalati disturbi dell’umore con prevalenti caratteristiche miste e disturbi del comportamento alimentare prevalentemente di tipo restrittivo. Sono descritti casi di psicosi con disturbi delle sensopercezioni (allucinazioni uditive, visive e cenestesiche) e del pensiero con prevalente ideazione delirante a contenuto mistico-religioso e forme catatoniche.
E’ inoltre quasi sempre presente un rifiuto ad assumere o a seguire in maniera continuativa una terapia medica tradizionale per la cura dei disturbi psichici con conseguente notevole difficoltà di gestione clinica delle pazienti vittime di tratta.